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Poesia dialettale abruzzese, ricchezza che affascina

Poesia dialettale abruzzese

La poesia dialettale abruzzese ebbe un certo riconoscimento soltanto tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 in poi, quando si completò quel processo di autocoscienza e costruzione della propria identità da parte dei poeti e delle relative comunità culturali dell’Abruzzo. Sono tanti i generi letterari che si sono affermati nel tempo, dalla letteratura patriottica, alla storiografia, dalle novelle alla poesia dialettale. Oggi ci soffermeremo proprio su quest’ultimo filone dell’attività letteraria abruzzese.

La poesia dialettale

All’inizio del 900 ci furono alcuni poeti occasionali che si cimentarono con poesie e racconti in vernacolo locale: Luigi Brigiotti di Teramo, Giuseppe Paparella di Tocco da Casauria con Lu brinnese de nu cafone, o sempre una satira dal titolo “Verbum Caro” dell’arciprete teramano Antonio Basilicati, pubblicato nella Rivista abruzzese di Verlengia, ma composto nella seconda metà dell’800, in cui il prelato si diverte nell’elencare una sfilza di difetti di ciascun personaggio dei centri dell’ex Abruzzo Ultra I del mandamento di Teramo e di Penne, usando gli appositi dialetti.

Dopo la pubblicazione delle raccolte Strada facenne e Fujj’ammèsche di Brigiotti e Anelli, in dialetto teramano e vastese, il primo poeta che volle sperimentare l’uso del vernacolo, innanzitutto capendo il valore di una koinè dialettale abruzzese (la chietino-pescarese), e uscendo fuori dagli schemi della satira, della goliardia e del tema bozzettistico, fu Alfredo Luciani con la raccolta Stelle lucente (1913).

Nello stesso tempo anche D’Annunzio si cimentò in alcune liriche dialettali pescaresi, mentre proprio tra Otto e Novecento nasceva anche la canzonetta dialettale abruzzese, con Tommaso Bruni, Francesco Paolo Tosti, De Titta e Luigi Dommarco che saranno i protagonisti dagli anni ’20 in poi delle Maggiolate abruzzesi a cadenza annuale presso Ortona.

Ma ora vediamo i poeti più importanti della poesia dialettale abruzzese:

Modesto Della Porta

Nato a Guardiagrele, non esercitò come attività principale l’attività di poeta, ma fu un sarto, nonché partecipava come componente della banda civica alle feste. Le sue poesie in dialetto guardiese tuttavia presto sono divenute un patrimonio della sua piccola patria, le persone di Guardiagrele hanno fatto loro i vari componimenti modestiani che spesso e volentieri erano delle riflessioni sul senso della vita e sulla rassegnazione delle condizioni misere di alcuni soggetti descritti, sempre però facendo apparire una sottile vena satirica e ironica, come strumento di momentaneo riscatto verso l’oppressore di turno o la condizione sociale dettata dalla natura.

Pubblicò “Ta-pù: lu trumbone d’accumpagnamente)”, è un lavoro composto nel 1920, che dà il titolo alla raccolta di poesie pubblicate dall’editore Carabba di Lanciano.

Nell’opera Modesto Della Porta rappresenta un calzolaio, suonatore del trombone d’accompagnamento, strumento musicale presente nelle bande, il cui unico suono è, appunto, “Ta-pù”. Le poesie più celebri sono: Nu sem nu – Serenate a mamme – La cocce de San Dunate – La Nuvène de Natale.

Cesare De Titta

Nato nel paesetto di Sant’Eusanio del Sangro vicino a Lanciano, definita nei suoi canti abruzzesi “Fiorinvalle di Terra d’Oro”, De Titta amava definirsi poeta delle tre lingue, perché avendo studiato al seminario diocesano lancianese, conosceva il latino, l’italiano e il dialetto, e compose carmi in tutte e tre le lingue diverse, molti dei quali dedicati all’Abruzzo e alla sua terra, nonché alcune tragedie e commedie, per l’editore di Lanciano “Rocco Carabba”: A la fonte – La scuncordie.

Avendo studiato e lette i testi di Virgilio, Catullo, nonché impregnato del classicismo tipico di Giosuè Carducci, De Titta nelle sue poesie predilesse la passione e il ricordo della sua terra natia, vergine, immacolata, carezzata dalla mole della Majella e del Montecorno (il Gran Sasso), prediligendo topoi a lui molto cari, come la fonte vecchia di Sant’Eusanio, dove le lavandaie andavano a lavare e stendere i panni, prima dell’installazione del moderno acquedotto in piazza.

Molte poesie infatti sono dedicate al tema della fonte, così come molte canzoni popolari abruzzesi, meta di incontri, chiacchiere, ricordi e pensieri filosofici sul senso della vita.

Tuttavia De Titta si discosta fortemente dall’immaginario dannunziano dell’Abruzzo primitivo, aggressivo e vorace, rigettando l’interpretazione veristica del pescarese, concentrandosi di più sul cantare lo stile di vita pacato, allegro ma anche ordinario e mite della popolazione abruzzese.

I manoscritti originali di De Titta sono conservati a Sant’Eusanio del Sangro presso la biblioteca civica nel museo della casa natale, custoditi da V. Verratti.

Cesare Fagiani

Fagiani di Lanciano (CH) è considerato da studiosi dialettali, quali Giammarco e Giancristofaro, l’erede spirituale di Modesto Della Porta. I suoi componimenti, insieme a quelli del quasi coetaneo Giuseppe Rosato, anche lui lancianese, rappresentano quel tono originale, scanzonato e riflessivo dell’abruzzese dell’area chietina, inserendo anche toni cupi e patriottici, come il componimento dedicato ai Martiri ottobrini, i giovani di Lanciano che il 6 ottobre 1943 si ribellarono ai tedeschi, oppure come Modesto, inserendo quadri di vita e tradizione popolare, come la festa patronale della Madonna del Ponte o il rito natalizio della Squilla.

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